Il Teatro Sociale è lo storico teatro di Palazzolo situato in Piazza Tamanza, dietro la vecchia Pieve, a ridosso della roggia Vetra.
Venne realizzato nel 1870 negli spazi allora occupati dalla caserma Disciplina, che in precedenza avevano ospitato la chiesa della Confraternita dei Disciplini odi San Francesco, della quale nel seminterrato del retro palco è ancora possibile vedere l’impianto e una parte degli affreschi databili al XV secolo.
Il 12 febbraio 1869 il Consiglio comunale deliberò infatti di cedere la vecchia caserma, utilizzata prima dalla gendarmeria austriaca e poi dalla guardia nazionale, nonché il vecchio cimitero annesso alla suddetta chiesa, trasformato nel frattempo in cortile interno, alla Società teatrale palazzolese per realizzarvi un nuovo teatro.
Il Teatro Sociale è lo storico teatro di Palazzolo situato in Piazza Tamanza, dietro la vecchia Pieve, a ridosso della roggia Vetra.
Venne realizzato nel 1870 negli spazi allora occupati dalla caserma Disciplina, che in precedenza avevano ospitato la chiesa della Confraternita dei Disciplini odi San Francesco, della quale nel seminterrato del retro palco è ancora possibile vedere l’impianto e una parte degli affreschi databili al XV secolo.
Il 12 febbraio 1869 il Consiglio comunale deliberò infatti di cedere la vecchia caserma, utilizzata prima dalla gendarmeria austriaca e poi dalla guardia nazionale, nonché il vecchio cimitero annesso alla suddetta chiesa, trasformato nel frattempo in cortile interno, alla Società teatrale palazzolese per realizzarvi un nuovo teatro.
Ideatore del progetto fu il consigliere comunale Gian Battista Vezzoli, già presidente, tra l’altro, della Società operaia presso la quale era attivo un piccolo teatro, sotto i portici della piazza.
Per trasformare la piccola chiesa, costituita da un’unica navata a volta, nella sala del teatro si determinarono delle sostanziali modifiche al complesso, tra cui si rese necessario demolire il campanile ormai pericolante.
Il Teatro Nuovo, come per decenni venne denominato, con i suoi 270 posti a sedere, fu inaugurato sabato 15 ottobre 1870 con la rappresentazione dell’opera “II matrimonio segreto”.
Ideatore del progetto fu il consigliere comunale Gian Battista Vezzoli, già presidente, tra l’altro, della Società operaia presso la quale era attivo un piccolo teatro, sotto i portici della piazza.
Per trasformare la piccola chiesa, costituita da un’unica navata a volta, nella sala del teatro si determinarono delle sostanziali modifiche al complesso, tra cui si rese necessario demolire il campanile ormai pericolante.
Il Teatro Nuovo, come per decenni venne denominato, con i suoi 270 posti a sedere, fu inaugurato sabato 15 ottobre 1870 con la rappresentazione dell’opera “II matrimonio segreto”.
Oggi, dopo i restauri del 1996-1997, il Teatro Sociale conta circa 140 posti a sedere, considerando sia la platea che i due livelli di palchi in legno decorato.
Di particolare interesse al suo interno il velario del pittore bresciano Luigi Campini (1816-1890), che offre uno spaccato della Palazzolo di fine Ottocento.
La tela raffigura sullo sfondo la chiesa parrocchiale, la torre del popolo, il ponte romano, il viadotto ferroviario e la Rocchetta di Mura, mentre in primo piano appaiono tre nobildonne palazzolesi, identificate in Lucia Camorelli (a simboleggiare l’industria della seta),Giulia Cicogna (l’agricoltura) e Francesca Fenaroli (il commercio), quasi ad elevare la donna a simbolo del lavoro e del progresso.
Oggi, dopo i restauri del 1996-1997, il Teatro Sociale conta circa 140 posti a sedere, considerando sia la platea che i due livelli di palchi in legno decorato.
Di particolare interesse al suo interno il velario del pittore bresciano Luigi Campini (1816-1890), che offre uno spaccato della Palazzolo di fine Ottocento.
La tela raffigura sullo sfondo la chiesa parrocchiale, la torre del popolo, il ponte romano, il viadotto ferroviario e la Rocchetta di Mura, mentre in primo piano appaiono tre nobildonne palazzolesi, identificate in Lucia Camorelli (a simboleggiare l’industria della seta),Giulia Cicogna (l’agricoltura) e Francesca Fenaroli (il commercio), quasi ad elevare la donna a simbolo del lavoro e del progresso.